Sentenza n. 207 del 2022

SENTENZA N. 207

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come inserito dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), promosso dalla Corte d’assise di Bologna nel procedimento penale a carico di G. N. con ordinanza del 17 novembre 2021, iscritta al n. 223 del registro ordinanze 2021, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 settembre 2022 il Giudice relatore Stefano Petitti;

deliberato nella camera di consiglio del 12 settembre 2022.

Ritenuto in fatto

1.– La Corte d’assise di Bologna, con ordinanza del 17 novembre 2021, iscritta al n. 223 del registro ordinanze 2021, solleva questioni di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, inserito dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), in riferimento agli artt. 3, 27 e 32 della Costituzione, «nella parte in cui non prevede che l’imputato semiinfermo di mente, riconosciuto parzialmente incapace di intendere e [recte: o] di volere al momento del fatto con perizia svolta in incidente probatorio, sia ammesso al rito abbreviato per i delitti puniti con l’ergastolo».

1.1.– La Corte rimettente premette di doversi pronunciare sulla richiesta di rito abbreviato avanzata da G. N., imputato del delitto di omicidio aggravato ai sensi dell’art. 577, primo comma, numero 1), del codice penale, per aver cagionato la morte del padre.

La richiesta di accesso al rito abbreviato, presentata davanti al Giudice per le indagini preliminari dopo che questi aveva emesso decreto di giudizio immediato nei confronti dell’imputato, è stata respinta sulla base della preclusione contenuta nell’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., per i delitti puniti con l’ergastolo.

L’imputato, riconosciuto in sede di incidente probatorio affetto da vizio parziale di mente al momento del fatto, ha riproposto la richiesta nella fase preliminare di apertura del dibattimento, previa rimessione delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 17 e 22 cod. pen., nonché dell’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen.

2.– L’ordinanza di rimessione ritiene rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., nella parte in cui nega l’accesso al rito abbreviato all’imputato di delitto punito con la pena dell’ergastolo che sia risultato parzialmente incapace di intendere o di volere ai sensi dell’art. 89 cod. pen.

Le questioni sarebbero rilevanti perché l’imputato, come accertato in sede di incidente probatorio, è ritenuto persona dalla capacità di intendere e di volere grandemente scemata per infermità psichica, sicché, ove ammesso al rito abbreviato, in caso di condanna, la conseguente diminuente processuale si riverbererebbe sull’entità della pena.

Quanto alla non manifesta infondatezza, muovendo dalla premessa per cui il vizio parziale di mente di cui alla previsione ora richiamata si traduce in una «circostanza attenuante espressiva […] della ridotta rimproverabilità soggettiva dell’autore» (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 73 del 2020), il rimettente ritiene assimilabile la condizione di «non piena colpevolezza (presunta per legge)» del minorenne imputabile (prevista dall’art. 98 cod. pen.) e del seminfermo di mente.

Di essa vi sarebbero «precisi riferimenti» nelle sentenze di questa Corte n. 253 del 2003, che ha escluso l’applicabilità di automatismi legislativi connessi alla condizione di pericolosità dell’infermo di mente e del minore non imputabile, e n. 73 del 2003 (recte: 2020), in relazione alla corrispondenza tra il minor grado di rimproverabilità soggettiva sussistente in entrambe le circostanze e la conseguente riduzione di pena.

Lo stesso legislatore avrebbe del resto mostrato piena consapevolezza della necessità di tale equiparazione nel momento in cui, con l’art. 11 della legge 19 luglio 2019, n. 69 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere), novellando, nel nuovo art. 577, terzo comma, cod. pen., il regime di bilanciamento di circostanze per il delitto di omicidio, ha escluso dal divieto di prevalenza sia l’attenuante ex art. 89 cod. pen., sia quella ex art. 98 cod. pen.

3.– A fronte di queste premesse, l’ordinanza di rimessione rileva una «marcata asimmetricità» di conseguenze sanzionatorie per le ipotesi dell’imputato minorenne e dell’imputato seminfermo di mente in relazione all’accesso al rito abbreviato.

Laddove per il primo, infatti, non sussisterebbe alcuna preclusione nell’accesso al giudizio abbreviato per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale (contenuta nella sentenza n. 168 del 1994) delle disposizioni del codice penale che non escludevano l’applicazione della pena dell’ergastolo, per il seminfermo di mente l’analoga condizione di ridotta rimproverabilità, pur incidendo sulla pena concretamente irrogabile in esito al bilanciamento delle circostanze ex art. 69 cod. pen., non si ripercuoterebbe sulle condizioni di accesso al giudizio abbreviato, che resterebbe precluso, in forza della disposizione censurata, ove si proceda «per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo».

Tale preclusione, pertanto, «costituisce una forma di trattamento disomogeneo di situazioni omogenee, che non rispetta il principio di ragionevolezza ed il presidio posto dall’art. 3 della Costituzione».

Né ad esiti diversi dovrebbe condurre la sentenza n. 260 del 2020 di questa Corte, che, secondo il giudice a quo, ha escluso l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata muovendo dalla discrezionalità che deve essere riservata al legislatore nell’escludere il rito speciale per quelle aggravanti del reato di omicidio che, comportando la comminatoria dell’ergastolo, connotano di un disvalore oggettivo superiore le fattispecie aggravate. L’analoga condizione di ridotta rimproverabilità, che accomuna l’imputato minorenne all’imputato seminfermo di mente, si porrebbe infatti su un piano diverso rispetto a quello delle circostanze soggettive, esprimendo «un evidente rilievo attenuativo della gravità oggettiva» e incidendo sulla «immediata percezione del disvalore oggettivo del fatto», ciò che giustificherebbe il vaglio di costituzionalità dell’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., alla luce, oltre che dell’art. 3 Cost., anche degli artt. 27, terzo comma, e 32 Cost.

La medesima ordinanza di rimessione ritiene invece manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale, pur prospettate dalla difesa di G. N., aventi ad oggetto gli artt. 17 e 22 cod. pen., nella parte in cui non escludono l’applicazione dell’ergastolo al soggetto che, al momento del fatto, era affetto da vizio parziale di mente.

4.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e, comunque, non fondate.

Innanzi tutto, si osserva come analoga questione sia stata dichiarata manifestamente infondata da questa Corte con la sentenza (recte: ordinanza) n. 214 del 2021.

In ogni caso, non vi sarebbe assimilabilità tra la posizione soggettiva del reo minorenne e quella del reo maggiorenne dichiarato seminfermo di mente. Nel primo caso, infatti, la diminuzione di pena prevista dall’art. 98 cod. pen. non discenderebbe da una valutazione discrezionale del giudice, ma opererebbe come circostanza soggettiva inerente alla persona del colpevole (è richiamata Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 28 luglio 2015, n. 33004). L’accertamento della capacità di intendere o di volere dell’imputato maggiorenne, secondo l’Avvocatura, costituisce invece questione di fatto, «la cui valutazione compete al giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità se esaurientemente motivata (Cass. Sez. 4, n. 2318/2018)». Peraltro, il giudice non sarebbe nemmeno vincolato alle risultanze indicative di un vizio totale o parziale di mente, dalle quali può quindi discostarsi tanto per escludere la sussistenza del vizio invocato, quanto per modularne la portata.

Da tutto ciò discende, ad avviso dell’interveniente, che la previsione ostativa di cui alla disposizione censurata «è ancorata unicamente al parametro edittale: i reati puniti/punibili con la pena dell’ergastolo», di talché «non può ravvisarsi alcuna disparità di trattamento tra la previsione di cui all’art. 98 c.p. e quella di cui all’art. 89 c.p.».

Neanche sussisterebbero gli ulteriori profili di contrasto denunciati dal rimettente.

Non quello relativo alla violazione dell’art. 27 Cost., dovendosi escludere che il giudice «possa comminare condanne senza preventiva affermazione di responsabilità del soggetto imputato»; e neanche quello relativo al contrasto con l’art. 32 Cost., perché l’ordinamento appresterebbe i correttivi necessari per «riportare ad equità e ragionevolezza le pene infliggende» e detterebbe, in ogni caso, «una puntuale e stringente disciplina per l’esecuzione delle condanne nei confronti dei soggetti con patologie psichiatriche».

Considerato in diritto

1.– La Corte d’assise di Bologna, con ordinanza del 17 novembre 2021, iscritta al n. 223 del registro ordinanze 2021, solleva questioni di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 33 del 2019, in riferimento agli artt. 3, 27 e 32 Cost., «nella parte in cui non prevede che l’imputato semiinfermo di mente, riconosciuto parzialmente incapace di intendere e [recte: o] di volere al momento del fatto con perizia svolta in incidente probatorio, sia ammesso al rito abbreviato per i delitti puniti con l’ergastolo».

1.1.– Secondo il rimettente, la disposizione censurata disciplinerebbe in modo irragionevole le condizioni di accesso al giudizio abbreviato dell’imputato seminfermo di mente per delitti puniti con la pena dell’ergastolo, stabilendo una preclusione assoluta, a differenza di quanto avviene per l’imputato minorenne per i medesimi delitti, il quale, pur a fronte di un’analoga condizione di «ridotta rimproverabilità», può sempre accedere a tale rito alternativo.

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e, comunque, non fondate.

2.1.– Le eccezioni di inammissibilità, appuntandosi essenzialmente sulla mancata considerazione, da parte dell’atto introduttivo del giudizio, dell’ordinanza n. 214 del 2021 di questa Corte e, più in generale, sulla «non assimilabilità della posizione soggettiva del reo minorenne con quella del reo maggiorenne dichiarato semi infermo di mente», devono essere disattese perché attengono a profili di merito.

3.– È opportuno, prima di affrontare nel merito le questioni, esaminare il contenuto della disposizione censurata e riassumere brevemente quanto affermato da questa Corte nelle occasioni in cui ne ha vagliato la legittimità costituzionale.

3.1.– L’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., nel testo introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 33 del 2019, prevede che «[n]on è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo».

Tale disposizione è intervenuta a sancire una preclusione all’accesso al giudizio abbreviato per questa categoria di delitti, dopo che tale facoltà era stata implicitamente riconosciuta dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice di procedura penale e all’ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), il cui art. 30 aveva inserito nell’art. 442 cod. proc. pen. un secondo periodo al comma 2, secondo il quale «[a]lla pena dell’ergastolo è sostituita quella della reclusione di anni trenta».

Di lì a poco, l’art. 7 del decreto-legge 23 novembre 2000, n. 341 (Interpretazione autentica dell’articolo 442, comma 2, del codice di procedura penale e disposizioni in materia di giudizio abbreviato nei processi per reati puniti con l’ergastolo), convertito, con modificazioni, nella legge 10 gennaio 2001, n. 4, aveva inoltre stabilito che «[n]ell’articolo 442, comma 2, ultimo periodo, del codice di procedura penale, l’espressione “pena dell’ergastolo” deve intendersi riferita all’ergastolo senza isolamento diurno», e aveva conseguentemente aggiunto allo stesso art. 442, comma 2, cod. proc. pen. un terzo periodo, secondo il quale «[a]lla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell’ergastolo».

3.1.1.– La modifica introdotta dalla disposizione censurata nel presente giudizio si inserisce nell’ambito di una riforma dei presupposti di applicabilità del giudizio abbreviato, finalizzata a escludere la possibilità di farne richiesta per gli imputati di delitti puniti con la pena dell’ergastolo.

Nel quadro di tale intervento assumono rilievo, ai fini dell’odierna decisione, ulteriori disposizioni contenute nella richiamata legge n. 33 del 2019.

Deve essere segnalato, tra gli altri, il nuovo comma 6-ter dell’art. 438 cod. proc. pen., introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera c), della legge n. 33 del 2019, secondo cui «[q]ualora la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare sia stata dichiarata inammissibile ai sensi del comma 1-bis, il giudice, se all’esito del dibattimento ritiene che per il fatto accertato sia ammissibile il giudizio abbreviato, applica la riduzione della pena ai sensi dell’articolo 442, comma 2». Specularmente, il nuovo comma 1-bis dell’art. 441-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 2 della medesima legge n. 33 del 2019, stabilisce che «[s]e, a seguito delle contestazioni, si procede per delitti puniti con la pena dell’ergastolo, il giudice revoca, anche d’ufficio, l’ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato e fissa l’udienza preliminare o la sua eventuale prosecuzione».

L’art. 3 della legge n. 33 del 2019, infine, ha provveduto ad abrogare il secondo e il terzo periodo del comma 2 dell’art. 442 cod. proc. pen.

3.2.– Questa Corte si è più volte pronunciata sulla legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., dichiarando sinora inammissibili o non fondate le questioni sollevate nei suoi confronti.

Nella sentenza n. 260 del 2020, è stato innanzi tutto affermato che la preclusione dell’accesso al giudizio abbreviato per i delitti puniti con l’ergastolo, costituendo «null’altro che il riflesso processuale della previsione edittale della pena dell’ergastolo per quelle ipotesi criminose», avrebbe richiesto ai rimettenti, in quel giudizio, di rivolgere le loro censure nei confronti della previsione della pena detentiva perpetua nei procedimenti a quibus – tra i quali figurava, come nel caso oggi in esame, l’omicidio a danno dell’ascendente – «giacché è proprio da tale previsione che deriva l’asserita diseguaglianza di trattamento sanzionatorio rispetto a fatti che si assumono più gravi».

Il presupposto generale da cui muove il legislatore, si è affermato in quell’occasione, è che il giudizio abbreviato resti precluso quando l’imputato è chiamato a rispondere di una fattispecie di reato punita con la pena perpetua, perché ciò si traduce in un «giudizio di speciale disvalore della figura astratta del reato».

Questa Corte ha conseguentemente precisato, nella medesima sentenza n. 260 del 2020, che non può ritenersi in contrasto con il principio di parità di trattamento la circostanza per cui a beneficiare dello sconto di pena conseguente all’accesso al giudizio abbreviato sia l’imputato di omicidio nei cui confronti, in esito al giudizio ordinario, l’aggravante ostativa contestata venga esclusa – il novellato art. 438, comma 6-ter, cod. proc. pen. prevedendo, come visto, che la Corte di assise applichi la riduzione di pena conseguente al giudizio abbreviato, ingiustamente negato –, mentre allo stesso esito non può giungere l’imputato di omicidio nei cui confronti venga bensì riconosciuta la sussistenza in fatto della circostanza aggravante che determina l’astratta applicabilità dell’ergastolo, ma tale circostanza venga “elisa” ai fini sanzionatori da una o più circostanze attenuanti presenti nel caso di specie.

Ciò in quanto l’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen. mutua la «regola generale» di cui all’art. 4 cod. proc. pen., secondo cui, ai fini della determinazione della pena massima, si tiene conto delle sole circostanze aggravanti a effetto speciale, «ma non delle circostanze attenuanti che possano egualmente concorrere nel caso concreto». Regola, questa, che, secondo la dianzi citata sentenza n. 260 del 2020, è provvista di una «solida ragionevolezza», perché il legislatore fa dipendere la possibilità di ricorrere a un determinato istituto – nel caso di specie, il giudizio abbreviato – dalla contestazione di una circostanza aggravante che, comportando l’applicazione di una pena di specie diversa dalla reclusione come l’ergastolo, «esprime un giudizio di disvalore della fattispecie astratta marcatamente superiore a quello che connota la corrispondente fattispecie non aggravata»; e ciò, aggiunge la medesima sentenza, «indipendentemente dalla sussistenza nel caso concreto di circostanze attenuanti, che ben potranno essere considerate dal giudice quando, in esito al giudizio, irrogherà la pena nel caso di condanna».

In applicazione di questo principio, nella successiva ordinanza n. 214 del 2021, è stato poi specificamente chiarito che la manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della disposizione censurata non sussiste neanche nel caso in cui la circostanza aggravante ostativa al giudizio abbreviato sia ritenuta equivalente o soccombente, in esito al giudizio di bilanciamento, rispetto a una circostanza attenuante come il vizio parziale di mente.

4.– Alla luce di queste premesse, le questioni devono essere dichiarate non fondate.

4.1.– Occorre anzitutto rilevare che, a dispetto della pluralità dei parametri evocati, il rimettente incentra le sue censure essenzialmente sulla violazione dell’art. 3 Cost. e sulla disparità di trattamento che contrassegnerebbe la posizione del seminfermo di mente ai sensi dell’art. 89 cod. pen. (quale l’imputato nel giudizio a quo), rispetto all’imputato minorenne. Laddove, infatti, per entrambe queste categorie di imputati, gli artt. 89 e 98 cod. pen. stabiliscono un’analoga diminuzione di pena, da ricondursi – secondo l’ordinanza di rimessione – alla comune condizione di «ridotta rimproverabilità» derivante dal minor grado di discernimento circa il disvalore della propria condotta e dalla minore capacità di controllo dei propri impulsi, diverse sarebbero le conseguenze dal punto di vista sanzionatorio.

Infatti, benché il rilievo del ridotto disvalore soggettivo possa condurre a escludere in entrambi i casi l’irrogazione della pena perpetua anche nell’ipotesi di omicidio aggravato (art. 577, terzo comma, cod. pen.), l’impossibilità di accedere al giudizio abbreviato opererebbe unicamente in danno dell’imputato seminfermo di mente, e non anche del minorenne imputabile, a carico del quale la pena perpetua non può più essere irrogata a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale in parte qua, tra gli altri, degli artt. 17 e 22 cod. pen. contenuta nella sentenza n. 168 del 1994.

4.2.– La rilevata disparità di trattamento, tuttavia, non sussiste, perché l’elemento che vale ad impedire all’imputato seminfermo di mente di delitti puniti con la pena dell’ergastolo, e non anche all’imputato minorenne per gli stessi delitti, l’accesso al rito abbreviato non è da rinvenirsi nelle diverse conseguenze che discendono dalle rispettive attenuanti, quanto nella diversa regola di sistema – scaturente immediatamente dalla richiamata sentenza n. 168 del 1994 – che impedisce di infliggere la pena perpetua al solo imputato minorenne, alla luce della necessità, in quella sede chiaramente affermata, di una «incisiva diversificazione, rispetto al sistema punitivo generale, del trattamento penalistico dei minorenni».

Per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 17 e 22 cod. pen. «nella parte in cui non escludono l’applicazione della pena dell’ergastolo al minore imputabile», contenuta nella sentenza da ultimo richiamata, si è, pertanto, venuta a determinare una sostituzione generalizzata della pena perpetua con quella temporanea per la sola categoria dei rei minorenni. E proprio il venir meno dell’astratta possibilità di applicare la pena dell’ergastolo agli imputati minorenni è l’elemento che consente a questi ultimi di accedere sempre al rito abbreviato, posto che, per essi, la preclusione stabilita dall’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen. non può operare in ragione della generale impossibilità di configurare, a loro carico, «delitti puniti con la pena dell’ergastolo».

4.3.– Se un simile assunto del rimettente è quindi condivisibile, e merita di essere evidenziato alla luce delle incertezze applicative emerse a seguito della riforma del giudizio abbreviato intervenuta nel 2019, erroneo è invece il presupposto interpretativo da cui questi muove per ritenere che al medesimo esito si debba giungere anche per l’imputato seminfermo di mente.

Mentre, infatti, per l’imputato minorenne l’accesso incondizionato al giudizio abbreviato deriva pur sempre da una condizione riferita alla pena astrattamente comminata, che non può essere quella perpetua, lo stesso non è a dirsi per l’imputato seminfermo di mente, per il quale la condizione di «ridotta rimproverabilità» può incidere unicamente sul peso da ascrivere alla relativa attenuante nel giudizio di bilanciamento ex art. 69 cod. pen., così da eventualmente riverberarsi sulla pena da irrogare in concreto.

Il piano sul quale opera, nella ricostruzione dell’ordinanza di rimessione, la condizione che accomuna le attenuanti di cui agli artt. 89 e 98 cod. pen. non ha quindi rilievo nell’estendere le condizioni per accedere al giudizio abbreviato, perché – come affermato nella sentenza n. 260 del 2020 e ribadito nell’ordinanza n. 214 del 2021 – queste ultime non sono influenzate dalla circostanza che il giudice procedente ritenga concretamente inapplicabile la pena dell’ergastolo per effetto dell’elisione dell’aggravante contestata in seguito al giudizio di bilanciamento.

L’analogia di ratio tra le due condizioni soggettive previste dagli artt. 89 e 98 cod. pen., su cui il rimettente fonda le sue censure, si mostra quindi inidonea a giustificare l’intervento richiesto a questa Corte, perché la diversità di trattamento quanto all’accesso al rito abbreviato riposa su un presupposto diverso da quello che viene addotto a sostegno dell’illegittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen. e che lo stesso rimettente non contesta, vale a dire la generalizzata impossibilità di applicare la pena dell’ergastolo al minore imputabile ma non al seminfermo di mente.

4.4.– Come anticipato, hanno valore puramente ancillare rispetto alla censura principale, e sono pertanto anch’esse da dichiararsi non fondate, le censure riguardanti la violazione degli artt. 27 e 32 Cost.

Ciò non impedisce, tuttavia, di rilevare che le finalità rieducative della pena da applicare all’imputato affetto da vizio parziale di mente e la funzionalizzazione di essa ai profili di cura e tutela della salute si apprezzano precipuamente non nell’ottica dell’accesso più o meno ampio di quest’ultimo al giudizio abbreviato, ma alla luce delle modalità di esecuzione della pena, posto che proprio l’applicazione di una misura di sicurezza, «non avendo alcun connotato “punitivo” […] dovrebbe auspicabilmente essere conformata in modo da assicurare, assieme, un efficace contenimento della pericolosità sociale del condannato e adeguati trattamenti delle patologie o disturbi di cui è affetto (secondo il medesimo principio espresso dalla sentenza n. 253 del 2003, in relazione al soggetto totalmente infermo di mente), nonché fattivo sostegno rispetto alla finalità del suo “riadattamento alla vita sociale”» (sentenza n. 73 del 2020).

5.– Le questioni sono pertanto non fondate.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come inserito dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27 e 32 della Costituzione, dalla Corte d’assise di Bologna con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 settembre 2022.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Stefano PETITTI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 6 ottobre 2022.